SAMAN E IL RISPETTO DELLA VITA. La voce della nostra associazione

11.06.2021

In questi giorni la vicenda di Saman, la ragazza Pakistana scomparsa da oltre 1 mese, è sulla bocca e nel cuore di tutti e non possiamo esimerci dall'esprimere considerazioni anche se difficili e complesse. Questa vicenda ci colpisce come donne, come medici e come associazione donne medico (A.I.D.M). La nostra associazione si è sempre battuta per la salvaguardia dei diritti delle donne e contro qualsiasi forma di violenza di cui anche i matrimoni forzati fanno parte. Questi matrimoni, decisi dalla famiglia di origine, non possono essere giustificati da nessuna appartenenza culturale né religiosa, perché sono una violenza psicologica e fisica e la negazione del diritto all'autodeterminazione di ogni persona. Mentre a livello istituzionale si è fatto e si continua a fare molto per contrastare le Mutilazioni Genitali Femminili, ci si occupa poco della pratica dei matrimoni forzati di cui conosciamo solo la punta dell'iceberg. Le donne coinvolte, spesso per mancanza di supporti esterni alla famiglia, accettano ancora troppo spesso questi soprusi per paura, perché non si sentono abbastanza forti per ribellarsi e si "sottomettono" al volere della famiglia che vuole difendere nella famiglia stessa gli appartenenti ad essa senza tener conto della persona, dei suoi valori, dei suoi progetti.

È necessaria una decisa presa di posizione "senza se e senza ma" da parte di tutte le istituzioni, che devono promuovere anche azioni educative e formative nell'ambito dei percorsi di integrazione, volte a sostenere il diritto alla libertà delle persone superando retaggi culturali stratificati nel tempo, e porre una attenzione particolare alle comunità dove tale pratica è più diffusa.
Vorremmo ancora credere che Saman sia viva ma ogni speranza si va affievolendo. Se Saman non c'è più, ci auguriamo almeno che i colpevoli siano severamente puniti e che ci sia una condanna unanime di questo delitto oltre che una mobilitazione attiva e presa di distanza netta da parte di tutti, e soprattutto da parte della Comunità Pakistana in difesa dell'autodeterminazione delle donne e contro la pratica dei matrimoni forzati.

Perché questa cultura cambi, occorre che al "disonore della famiglia" per una figlia che non accetta di non poter decidere della sua vita, si sostituisca il "disonore della famiglia" che non rispetta la sacralità della persona e della sua vita. Solo chi è oppresso può liberarsi dall'oppressione, e quindi solo le donne - come Saman - che si ribellano ad imposizioni inaccettabili possono aprire uno spiraglio di speranza per un futuro meno diseguale: ma devono trovare sostegno, condivisione e supporto nella comunità dove vivono, da parte di tutti noi e delle istituzioni del nostro paese.

Perché Saman non resti sola e indifesa anche dopo la sua scomparsa.

Dott.ssa Mara Manghi, Presidente della Associazione Donne Medico di Reggio Emilia